domenica 31 maggio 2009

Buona Domenica




Un saluto dolcissimo, un augurio veloce veloce per una domenica serena, una torta profumata e fragrante. La ricetta è di Annalisa Barbagli, pubblicata l'anno scorso su Gambero Rosso e poi ripresa dal Cavoletto.
Io ho sostituito soltanto il maraschino, che non mi piace proprio, con un Marsala speciale, bottino del mio recente viaggio in Sicilia. (A proposito, vi devo ancora la seconda parte del resoconto del viaggio! )
Per ora è tutto, ci risentiamo lunedi
Buona Domenica

Torta di ciliegie.



ciliegie 500g
farina 100g
zucchero 100g
farina di mandorle 100g
burro 80g
uova 2
maraschino (marsala) 2 cucchiai
lievito per dolci 1 cucchiaino
sale
per la tortiera: 1 noce di burro + zucchero di canna

Lavare e snocciolare le ciliegie.Lavorare il burro morbido con lo zucchero, aggiungere la farina di mandorle, e poi le uova, a temperatura ambiente, incorporandole una ad una. Aggiungere il liquore, il sale ed infine la farina setacciata con il lievito. Versare questo composto in una tortiera da 20 cm, imburrata e cosparsa con lo zucchero di canna. Inserire le ciliegie premendo un po’ e infornare il tutto a 180° per circa 45 minuti.

sabato 30 maggio 2009

Montalbano, il gabbiano e una pentola di pane




Montalbano è tornato. Più anziano, più consapevole. Più refrattario che mai a compromessi e facili scappatoie.
Montalbano è tornato, e deve fare i conti con la strana danza di morte di un gabbiano; con Zingaretti, che lo impersona nei film tratti dalle sue imprese; con Camilleri, che segue , e scrive, le sue vicende; con il suo amore per Livia ormai sgretolato, dal tempo e dalla distanza; con l’altro se stesso, più impulsivo e sentimentale.
In una Sicilia che è lo specchio deformato e impietoso di un Italia corrotta e borbonica, il commissario mantiene tenaci e leali gli affetti più veri: per i suoi uomini, che rischiano la vita ogni giorno,e per la Giustizia, così spesso sbeffeggiata e ingiuriata, non solo da criminali di professione.
Montalbano è tornato, ed ha recuperato lucidità e forza, la mente attenta, il ragionamento acuto e brillante.
Montalbano è tornato ieri e io l’ho letto in un fiato, come al solito. Ha il sapore delle cose buone e antiche, solide e incorruttibili.
Un po’ come questo piatto, semplice e buono, con il pane come scrigno di profumi e di sapori.
Il pane non è solo un alimento, ma racchiude in sé valori primigeni: è il simbolo primordiale della civilizzazione dell'uomo assieme al sale, al vino e all’ olio.
E’ archètipo della bontà. E' amicizia: il significato stesso di compagno deriva dal latino cum panis, cioè colui con cui si divide il pane.
Nelle Scritture troviamo Adamo, che si guadagna il pane, con il sudore della fronte. Al Signore, chiediamo il pane quotidiano.
Nella storia delle rivolte popolari, è per il pane che si lottava, e si moriva, non certo per le brioches!
Nell’antichità il piatto era sostituito da una specie di focaccia di pane. I cibi venivano posti su questa focaccia che si inzuppava di umore e sapore e quindi veniva mangiata. (Il nome piadina deriva appunto da platus.)
E nello stesso modo il pane era anche usato per cuocere in forno,senza perderne succhi, aromi e sapori, cibi come questo, la cui ricetta ho trovato, anni fa, su non so quale giornale di cucina; splendido protagonista di cene tra amici o buffet estivi.

Agnellino al mirto in pane di Altamura



Ingredienti per 8 persone ca.
1 grossa forma di pane d’Altamura, ½ agnellino da latte tagliato a pezzi, 250 g pomodori ciliegia maturi e sodi, 150g peperoncini verdi dolci, 1 peperoncino piccante, 1 mazzo di cipollotti, 2 spicchi d’aglio, 1 mazzetto di mirto, 50 g olive nere taggiasche snocciolate, olio e.v.o, sale



Tagliate la calotta superiore del pane e tenetela da parte.
Svuotate parzialmente il pane, in modo che rimanga attaccato alla crosta uno strato uniforme di mollica. Mettete la carne in una ciotola con una manciata di foglie di mirto, l’aglio non spellato, il peperoncino. Salate, irrorate con un po’ d’olio. Unite i pomodorini, dopo averli incisi leggermente, e i peperoni dolci. Tagliate a pezzi i cipollotti, mettetene tre quarti sul fondo del pane, con qualche oliva e mescolate il resto alla carne.
Versate tutti gli ingredienti nel pane, le olive rimaste, qualche rametto di mirto irrorate con olio e richiudete il pane con la calotta. Legatelo con lo spago da cucina, in modo che rimanga ben chiuso e mettetelo su una placca, in forno caldo a 180° per 15 minuti. Avvolgete poi il pane in fogli di alluminio e proseguite la cottura per un’ora e mezzo. Togliete l’alluminio, proseguite ancora la cottura per 10minuti. Slegate e servite.


giovedì 28 maggio 2009

Sbarchi



L’estate porta sole, caldo, vacanze… e già sentiamo rumore di risacca, stridi di gabbiani, sabbia calda tra le dita, tonfi di pallone, risate e calura sonnacchiosa di pomeriggi trascorsi nell’incerto riparo di ombrelli colorati.

L’estate porta a casa mia Nadia e Natasha.

Vengono da un mondo lontano, da lontane privazioni. Vivono, laggiù, di mancanze. Genitori, pane, speranza, progetti…
Stanno con noi per un poco, e in quel poco recuperano peso e salute, scoprono di sè valori e desideri, fabbricano legami, generano prospettive.
L’aereo che le porta, porta occhi sgranati, zaini pieni di attese, abbracci sfiniti, felpe e orecchini, pance scoperte e sorrisi esitanti. Sono tanti i ragazzi che scendono dall’areo-barcone e attraccano alle coste ospitali di famiglie accoglienti, che perpetuano l’abbraccio ogni anno, e rinnovano poi l’attesa paziente, in inverno.
E l’arrivo porta in ogni casa, nella mia casa, allegro scompiglio: diventano quattro le risate, i letti, le uscite e i gelati. Quattro le schede telefoniche da ricaricare, i costumi da bagno da sciacquare, i baci della buona notte. Quattro le voci gioiose, le litigate furibonde, le alleanze indistruttibili.
E quattro le richieste imperiose: Ho fame! Si mangia? Che c’è per pranzo?
E per pranzo, oggi, c’è un piatto profumato e gustoso. Si può portare in un picnic o sulla spiaggia, perché è buonissimo anche freddo. Si può fare, e così lo faccio spesso, con la pasta corta, tipo tubetti o ditalini rigati, al posto del cuscus. Avevo trovato la ricetta, tanto tempo fa, su Cucina Italiana. E da allora, l’estate, a casa mia, è anche questo piatto.


Anello di melanzane e cus cus.




4 grosse melanzane,circa 1k, pomodori ramati 900g più alcuni per la decorazione, cuscus precotto 250g, basilico, insalata, limone, timo, olio e.v. sale, pepe in grani.


Affettate le melanzane per il lungo, lasciatele a spurgare per circa un’ora dopo averle salate.
Sbucciate gli 8 pomodori, togliete i semi e il liquido di vegetazione: frullate bucce, semi e liquido , filtrate emulsionate con olio, sale, pepe e limone e tenete da parte.
Cuocere alla griglia le melanzane.
Portare a bollore 300g acqua con timo, sale, un cucchiaio d’olio, versatevi il cuscus e spegnete. Coprire e lasciate rinvenire per 30’.
Ungete d’olio una stampo ad anello. Rivestitelo completamente con le fette di melanzane, lasciandole abbondantemente debordare.
Mettete nello stampo la metà del cuscus, poi gli spicchi di pomodoro, basilico, sale, pepe macinato e 4 cucchiaiate d’olio.
Proseguite con un altro strato di cuscus, ripiegate sopra le fette di melanzana e premete tutto per renderlo compatto.
Passate lo stampo in forno a 200° per 15’ per scaldarlo.
Sfilate il cerchio, disponete lo sformato sul piatto da portata, guarnite il centro con pomodori e insalatina, accompagnate con la salsa tenuta da parte.

mercoledì 27 maggio 2009

Matrimonio misto.



Mi è sempre piaciuto viaggiare. Conoscere posti nuovi, imparare sapori, profumi. Ascoltare parole straniere, che raccontano mondi lontani, di cui assorbo la musica, la cadenza, la grazia. E assaggiare il cibo preparato da madri di altri figli, di altro colore, di altri mondi. E amo ritornare poi nella mia città, dopo il viaggio, portando con me odori di spezie, di frutta, di terra lontana ; e mi incanta sapere di più, avere in bocca, negli occhi e nel cuore quel che è di prezioso e, laggiù, quotidiano. Poi, a casa, mescolare ricordi e esperienze, impastare aromi e fragranze, sposare tradizioni di casa e di viaggi.
A volte il risultato non è felice, a volte, si sa, i matrimoni non riescono; ma non per questo si smette di amare.
Quello di oggi, mi pare, ha la grazia appagante di nozze fresche e liete: un grano che vuole sentirsi tabulè, menta e prezzemolo del mio terrazzo, zenzero e lime venuti da lontano, spiedini di pollo che tandoori non sono, ma gli assomigliano un po’.

Insalata di grano in tabulè, con spiedini di pollo allo zenzero e lime.



300g grano parboiled
1 ciuffo grande di prezzemolo
1 ciuffo di menta
8-10 pomodorini camone
2 cipolle rosse di Tropea
Olio,sale e pepe
1 petto di pollo
1 pezzo di zenzero
2 spicchi di aglio
3 lime

Affettare il pollo sottile, poi tagliarlo a pezzetti. Mettere in una ciotola il succo di due lime, l’aglio tritato grossolanamente, alcune fettine di zenzero, sale e pepe. Unire i pezzetti di pollo, mescolare bene e lasciare in frigo a marinare per almeno mezz’ora.
Lessare il grano, poi scolarlo al dente e metterlo a raffreddare subito su una teglia raffreddata a lungo nel frigorifero.
Tritare il prezzemolo e mescolarlo al grano freddo, impastandolo un poco, per far ben penetrare l’essenza del sapore. Unire la menta spezzettata, le cipolle a fettine sottili e i pomodori tagliati a spicchi. Salare, pepare, condire con poco olio evo e riporre in frigo.
Montare i pezzetti di pollo sugli spiedini (se si vogliono in legno, tenerli a lungo a bagno in acqua perché non brucino durante la cottura), alternandoli a fettine fresche di zenzero.
Man mano che sono pronti, appoggiarli su una teglia rivestita di carta forno. Infornare a 220° per 10 minuti.
Per servire, mettere il grano in una ciotola , o in un piatto, condire con una spruzzata di lime, e guarnire con gli spiedini.

martedì 26 maggio 2009

Le erbe liguri, il caldo e anche Lilli e il Vagabondo.




Il caldo è forte. Il cielo stinge il suo azzurro nella luce vivida, l’aria è immobile, quasi in attesa.
La città sa di sale, e di polvere ferma tra i tetti di ardesia opaca. Il vociare dei bambini, nel cortile della scuola, e il rumore del traffico, rendono sonnacchiosi e pesanti. Dovrei cucinare, ma l'idea del forno acceso, di pentole borbottanti, di liquidi caldi o carni rosolate mi smarrisce. Fosse per me, due ciliegie e un bicchiere d’acqua e limone, appannato dal ghiaccio, grazie. Poi mi riscuoto da questa apatia africana, che mi atterra da giorni, liberandomi dalle sue spire solo verso tarda sera, col primo quieto refolo azzurro, con il profumo dei gelsomini.
E allora scovo una ricetta del Cavoletto, la modifico quel tanto che basta per sentirla più personale, le offro qualche profumo di casa mia, ed eccola qui, pasta con le polpettine, come in Lilli e il Vagabondo, vi ricordate? Ma questa è una versione estiva...

Linguine agli agrumi con polpettine di spada.



Una fetta spessa di pesce spada (ma anche altri pesci, meglio se azzurri)
300g linguine
1 limone biologico
1 arancia biologica
Prezzemolo, Basilico, Timo, Maggiorana tritati.
Olio evo
La mollica di un panino, bagnata nel latte
½ bicchiere vino bianco
1 uovo
Farina
Sale, pepe.

Tritare il pesce, metterlo in una ciotola con la mollica bagnata nel latte e strizzata bene.
Unire la metà del trito di erbe, metà dell'uovo leggermente battuto,la buccia di mezza arancia e mezzo limone, sale e pepe. Formare delle polpettine e rotolarle velocemente in poca farina (meglio di riso). Farle rosolare brevemente in poco olio, poi bagnarle con il vino bianco, rigirarle qualche secondo e togliere dal fuoco. Sgocciolare le polpettine e metterle su un piatto. Nella padella in cui hanno cotto le polpettine aggiungere il succo di mezzo limone e di una arancia e l’altra metà del trito di erbe.
Lessare e scolare al dente la pasta. Versarla nella padella, fuori dal fuoco, e mescolare bene, poi stenderla su una teglia molto fredda (lasciata in frigo per una mezz’oretta ) e far raffreddare mescolando per qualche minuto.
Servire, unendo le polpettine e una grattugiata di scorza di agrumi.

domenica 24 maggio 2009

Un dono per Giorgia




Giorgia ha un sorriso luminoso, su lunghe gambe adolescenti. Giorgia ha occhi stellati e guance rosate d'emozione. Giorgia ha amici chiassosi e doni tra le dita e genitori fieri e colmi d'amore.
Giorgia ha diciotto anni, e una festa di cui è giovane regina.
Un giardino con tavoli imbanditi e una folla di ragazzi allegri, complici e solenni, a rendere indimenticabile una serata speciale.
E per lei, fresca e bellissima, una torta profumata e gentile, che è un dono e un augurio sincero.



Torta dei diciott’anni di Giorgia.



Pan di Spagna:
7 uova, 180g zucchero, 150g farina, 50g fecola, la buccia grattugiata di un limone, burro e farina per la teglia.
Bagna:
Acqua 100g, zucchero 50g, buccia di limone grattugiata q.b.
Farcia:
Pesche gialle 4, zucchero, buccia di limone q.b. , 2 fogli di colla di pesce.
Copertura:
Marmellata di rose
Finitura:
Lamponi, 4 cestini

Le dosi che ho indicato sono per due dei petali che sono stati realizzati. In totale i petali erano 7, cotti in stampi ovali, regalo gentile di un grande signore della cucina italiana, di ca. 25 cm., più un centro, rotondo, di diametro 24, più un ulteriore pan di Spagna, da cuiè stata ricavata la polpa.
Il pan di Spagna :
Montare uova e zucchero con le fruste elettriche, o con l'impastatrice, per ca. 15 minuti, unendo la buccia di limone. Poi unire le due farine setacciate, gradualmente, pochi cucchiai alla volta, assolutamente a mano, con un cucchiaio di legno, mescolando dal basso all’alto. Versare negli stampi imburrati e infarinati e cuocere a 155° per ca. 50 minuti. Lasciare nel forno spento per altri 10 minuti, poi estrarre la teglia, sformare e far raffreddare totalmente su una gratella da pasticceria.
La bagna:
Bollire l’acqua, unire lo zucchero e la buccia di limone. Far sobbollire qualche minuto e lasciar raffreddare coperto. Filtrare.
La farcia:
Mondare e tagliare le pesche. Pesarle. Farle cuocere qualche minuto, frullare con un frullino ad immersione, unire la metà del peso in zucchero. Cuocere il tempo di far sciogliere lo zucchero, unire poca buccia di limone grattugiata. Spegnere. Aggiungere i fogli di gelatina, prima ammollati in acqua fredda. Mescolare bene, far rassodare leggermente in frigo.

Montaggio:
Tagliare il pan di Spagna a metà , bagnarlo con lo sciroppo di zucchero, coprire la metà inferiore con la farcia, ricomporlo e bagnare leggermente con lo sciroppo anche la parte superiore. Spalmare la marmellata di rose e coprire con i lamponi.
Per il centro:
Lo stesso procedimento dei petali, ma dopo aver spalmato la marmellata di rose, coprire con la mollica di un altro pan di Spagna tagliata a minuscoli dadini, per dare l’effetto del cuore della corolla.


venerdì 22 maggio 2009

Fiori per Solange.




Questa ricetta nasce in fretta, viene cucinata in fretta, e messa qui ancor più in fretta (e infatti la foto è proprio tanto bruttarella) che oggi è stata una giornata pesante, e cucino da stamattina per una cosa speciale: poi domani vi racconto!
Dunque avevo un bel mazzo di fiori di erba cipollina, avanzati da ieri, ma belli freschi e arzilli, non potevo mica lasciarli abbandonati nel frigo, no?
E poi a me le torte salate piacciono un sacco, e quella di porri è la passione di Solange, dolcissima amica della mia figlia maggiore.



Torta di porri e fiori.





Pasta brisé (di M.Roux)

250g. di farina
150g.di burro, tagliato a pezzettini e leggermente ammorbidito
1 cucchiaino di sale
un pizzico di zucchero
1 uovo
1 cucchiaio di latte freddo

Ripieno

3 porri
1 cucchiaio di burro
sale
4 cucchiai di parmigiano grattugiato
2 uova
bechamelle (1/2 litro di latte, 50 g. di burro, 50 g. di farina, noce moscata, sale.)
Un mazzoino di fiori d'erba cipollina.



Per la pasta brisé:

Versare la farina a fontana, mettere al centro il burro, il sale, lo zucchero e l'uovo, poi mescolateli e lavorateli con la punta delle dita.
Incorporare gradualmente la farina, finchè assume una consistenza grumosa.
Aggiungere il latte e incorporarlo gradualmente, lavorando l'impasto finchè è liscio. Formare una palla, avvolgerla nella pellicola e mettere in frigo.


Per il ripieno:

Pulire bene i porri e tagliarli a rondelle. Metterli in una padella dal fondo spesso, con il burro, e farli stufare con un pizzico di sale.
In una ciotola capiente sgusciare due uova, unire il parmigiano, la bechamelle tiepda e i porri stufati.
Staccare con delicatezza i fiori di cipollina dagli steli e unirli al composto.
Mescolare bene.

Foderare una tortiera con la carta forno, oppure imburrarla bene ed infarinarla. Stendere la pasta brisé, versare il ripieno sulla pasta, poi pizzicarne i bordi.
Infornare a 180° per circa 50 minuti

giovedì 21 maggio 2009

Heidi e il burro.





Questa mattina è caldo. Sole. Lampi di bianco accecante. E il verde delle colline, alle mie spalle, laccato.
E mi sembra davvero estate. Ed ho voglia di fare qualcosa di fresco, di buono, di diverso.
E così oggi faccio il burro. Con la panna fresca, il sale di salina, qualche erbetta di campo.
E sono subito Heidi.
Senza caprette e senza monti, ma indiscutibilmente…

(Heidi? Forse più il nonno di Heidi, non è che la piccolina facesse moltissimo, oltre a saltellare qua e là…)

E sul terrazzo, il vaso di erba cipollina è tutto in fiore. Ne prendo un poco in prestito.
Burro, fiori di campo, Heidi dunque. E Heidi sia.






Burro fatto in casa.

2oog panna freschissima da montare

Non occorre altro. Solo la panna e una frusta per montare, o un robot da cucina.
Montate a lungo. La panna deve prima acquistare la consistenza della consueta “montata” , poi modificherà ancora il suo stato, separando la massa grassa, a fiocchi, dal siero.
A questo punto separate con le mani ( o utilizzando un colino a maglie fitte) le due compnenti, ponete la massa di burro sotto l’acqua fresca e “lavatelo”, fino a che l’acqua scenderà limpida.
Potete ora addizionare il vostro burro con quello che volete: sale, pepe in grani, bacche (pepe rosa o ginepro) spezie, fiori eduli, erbe fini, ecc.
Mettetelo in una tazza, o in uno stampo apposito, e riponetelo in frigo.


martedì 19 maggio 2009

Luci e colori...ricci e sapori!




Oggi tutto è smagliante. Il cielo pare laccato in azzurro schietto. Il sole scalda le vie in salita di questa città salina, luminosa e netta, in questa mattina di maggio così calda. Le colline, alle spalle, riversano sul mare l’intensità degli odori di ginestra, di gerani e glicine. E i colori dei rampicanti si stagliano decisi sui muri grezzi, che provano a celare giardini nascosti e segreti.
Scendo per i vicoli ombrosi, rovesciando la testa per scorgere la luce abbagliante, che so mi aspetta, appena sgusciata nella piazza ampia, spruzzata dalla fontana centenaria. E’ bella, questa città schiva ed altera, popolana e sprezzante false lusinghe.
E nell’incanto della mattina, arrivo ad un mercato che riluce di colori ed odori, di variopinte verdure , di voci allegre, di pesci iridescenti . E mi fermo, incantata da ricci lucenti nel nero smaltato degli aculei, che ondeggiano appena, fragranti di mare.



Gnocchetti al nero di seppia, con gamberi e ricci di mare su crema di ceci.


Per gli gnocchi: 700 g patate, 200 g. farina, 1 uovo, sale, 1 vescica di nero di seppia

Per il condimento: la polpa di 16 ricci di mare, 8-12 gamberi , prezzemolo, aglio, vino bianco, 1 peperoncino, olio e.v.

Per la crema di ceci: 100g ceci secchi, olio e.v., aglio, rosmarino




Per gli gnocchi:
Lessare le patate con la buccia, passarle ancora calde allo schiacciapatate, impastare con l’uovo e la farina, il nero di seppia e il sale. Formare degli gnocchetti. Infarinarli leggermente. Coprirli con un canovaccio.


Per il condimento:
Estrarre la polpa dai ricci, metterla in una ciotolina.
Scaldare abbondante olio e.v. in una larga padella. Unire lo spicchio d’aglio, il peperoncino e il prezzemolo tritato. Unire i gamberi (8 o 12, a seconda della grandezza, ne vanno due o tre a persona)
Fate saltare velocemente, sfumare con vino bianco. Spegnere e tenere in caldo.

Per la crema di ceci: mettere a bagno i ceci la sera precedente. Farli bollire in acqua non salata, con aglio e un ciuffo di rosmarino. Quando saranno morbidi scolarli e frullarli con olio, qualche ago di rosmarino fresco, sale e pepe. Unire un po’ d’acqua di cottura per ammorbidire la salsa.


Impiattare: Gettare gli gnocchi in acqua bollente salata, scolarli e ripassarli pochi secondi nella padella del condimento, unendo la polpa dei ricci.

Versare la crema di ceci a specchio sui piatti, disporre gli gnocchi conditi al centro.
Spolverizzare con prezzemolo.

sabato 16 maggio 2009

Les Macarons?




Questa ricetta è un debito.
Un debito che ho con un’amica giovane e bellissima, che è venuta spesso ai miei corsi di cucina, a cui avevo promesso di insegnare questo piatto.
Poi, come spesso succede, non abbiamo mai trovato il tempo per farlo.Così, eccola qui, Anna, la ricetta delle polpettine d'acciuga, per i tuoi bambini o per gli ospiti dei tuoi splendidi buffet!

Questi sono quindi Les Macarons per Anna





Polpettine di acciughe

500 g. di acciughe, 3 uova, aglio, prezzemolo, maggiorana, parmigiano, mollica di un panino, latte q.b, farina, pane grattugiato, olio e.v, sale, pepe.


Pulire poi tritare grossolanamente a coltello le acciughe.
In una ciotola battere leggermente 2 uova con poco sale,pepe, aglio e prezzemolo tritati, maggiorana spezzettata e un po’ di mollica bagnata nel latte.
Unire il trito di acciughe e mescolare.
Formare delle polpette rotonde, appiattirle leggermente,passarle nella farina, poi nell’uovo rimanente, leggermente sbattuto, poi nel pan grattato, pressandole bene, e friggerle nell’olio caldo.

Accompagnare con una salsina di pomodoro, aglio e prezzemolo. In estate si possono mangiare anche fredde, con una salsa di yogurt, cetrioli a pezzettini, menta tritata e qualche goccia di aceto o limone.

giovedì 14 maggio 2009

Il mercato, un pastorello e i cannelloni




L’altro giorno ero al Mercato Orientale, che tra l’altro non è per nulla esotico, ma prende il nome dalla ormai scomparsa Porta Orientale della città, accanto alla quale venne edificato nel lontano 1893. Ero dunque al Mercato Orientale, per contattare il pusher di patate viola, per un’amica di Roma in crisi d’astinenza! (Non chiedetemi perché, ma le patate viola a Roma costano quattro volte quel che costano a Genova)

Insomma ero al mercato e sul banco del mio fornitore di fiducia ho visto questi zucchinetti nostrani, piccoli e fioriti. Me n’è venuta una voglia subitanea ed irresistibile, come mi arrivano le voglie che mi fanno acquistare verdura in tale quantità, che poi faccio fatica a cucinarla tutta e mi rimane lì, pericolosamente incline al deperimento.
Mia Nonna Lucia mi raccontava una fiaba: ” C’era una volta un pastorello che aveva dieci pecore. Le teneva in un ovile e le portava ogni giorno al pascolo. Un giorno andò al mercato e riuscì a comprare cinque pecorelle nuove, piccole e graziose. Arrivato all’ovile, ne fece uscire le “vecchie” pecore, lo pulì bene, lo rifornì di acqua fresca, erbetta profumata ed appena falciata, e vi fece entrare le nuove pecorelle. Le vecchie furono messe in un recinto, scomodo e arido. La mattina seguente le pecore nuove erano fuggite.
Il pastorello le rincorse e quando le ebbe raggiunte chiese loro perché fossero fuggite, vista la splendida accoglienza ricevuta. E quelle gli risposero ( eh, che ci volete fare, in una fiaba le pecore parlano!) che proprio per quello erano fuggite. Ben presto sarebbero state considerate “vecchie” anche loro, e non avrebbero certo voluto ricevere un trattamento ingiusto e crudele come quello da lui inflitto alle altre pecore. Così il pastorello tornò a casa e accolse pecore nuove e vecchie nell’ovile confortevole


E così l’altro giorno, tornata a casa, mossa a compassione di favette, porri e broccoletti, che stavano per sfinirsi nel fondo del frigorifero (ma succede solo a me?) ho preparato un piatto che ha unito gli zucchini freschissimi a verdura un po’ più agé :)


Cannelloni alle verdure di primavera con zucchini dal fiore ripieno.

Ingredienti:

12 cannelloni pronti ( o 12 lasagne fresche, che poi arrotolerete)
4 zucchine piccole con il fiore
1 broccolo
1 tazza di fave sgranate e spellate
1 porro
2 tazze di bechamelle
4 cucchiai di Parmigiano grattugiato
1 uovo
1 cucchiaio di pinoli
Timo
Una noce di burro
Olio e.v.o., sale, pepe.

Lavare le zucchine e mondarle, mantenendo il fiore attaccato.
Togliere delicatamente la “candelina” al centro del fiore di zucchina
Tagliare le zucchine ricavando delle fettine, senza separarle l’una dall’altra, in modo da poterle aprire “a ventaglio”.
Tagliare il porro a fettine e farlo appassire in poco olio e burro.
In un’altra padella fare stufare il broccolo, preventivamente diviso in cimette, con olio e poca acqua.
Riunire le verdure in una ciotola, unire le fave sgusciate e private della pellicina, una tazza di bechamelle, l’uovo e il parmigiano ( tranne una cucchiaiata). Aggiustate di sale e pepe.
Riempire i cannelloni con il ripieno (lasciatene circa 2 cucchiai) e disporli in teglia , o in pirofiline individuali, coprendoli con la bechamelle avanzata.
Metterli in forno a 180° per circa 15 minuti.
Aggiungere al ripieno avanzato i pinoli, leggermente tostati in una padellina cosicchè rilascino i loro oli profumati, e un po’ di foglioline di timo; con questo composto riempire i fiori di zucchina e far cuocere a vapore per 10 minuti.
Estrarre i cannelloni dal forno, posare gli zucchini con il fiore ripieno sulla teglia, quindi spolverizzare di parmigiano e farli gratinare sotto il grill caldo per pochi minuti.

Io li ho cucinati con porri, broccoli e fave, ma se nel vostro frigo si illanguidiscono altre verdure, usate quelle!!

mercoledì 13 maggio 2009

Un piatto "sarvego"




Nel giardino di quel posto là, cresce un grande albero di limoni.
E’ un albero con una forte personalità, un po’ “sarvego”, come dicono da quelle parti, un po’ schivo, quasi selvatico, brusco . Non fa tanti complimenti, insomma.
Si erge dignitoso e saldo nel suo regno indiscusso, quello che noi chiamiamo l’orto ed orto non è, ma solo un angolo un po’ incolto ed appartato del grande giardino: tre fasce di terra, con un caco, un po’ d’uva qualche susino e un fico.
L’albero si riempie di fiori all’improvviso, non come un dono gentile, ma come un impegno preso, un lavoro portato a termine con onestà, un patto saldato.
E nello stesso modo si riempie di frutti profumati e succosi: e quando inizia non smette più. Limoni grossi, dalla buccia odorosa, dal succo limpido e aspro e confortante.
E oggi, tornata a casa in fretta, con una mattinata stracolma di impegni e di parole e di persone incontrate e vocianti, avevo voglia davvero di una pausa fresca e gentile, di un piatto semplice, intimo, confortante.
Di un piatto poco costruito, essenziale, “sarvego”, come l’albero. Schietto.





Tagliolini al limone

Ingredienti per 4 persone
500 g di tagliolini freschi all’uovo
50 g di burro
1 grosso limone più un altro per la buccia
2 cucchiai di panna da cucina leggermente montata
1 ciuffetto di prezzemolo
sale e pepe bianco

Ho grattato la scorza gialla di 1 limone facendo molta attenzione a non grattare via anche la parte bianca della buccia (che è amara). In una grande padella ho messo la buccia grattata insieme con il burro e l’ho fatto riscaldare piano, in modo che la buccia del limone rilasci nel burro le sue essenze.
Poi ho aggiunto il succo filtrato del limone.
Ho cotto i tagliolini (in acqua bollente salata) molto al dente .
Ho prelevato un po’ di acqua di cottura, diciamo 1 mestolo scarso, e l’ho versato nella padella, amalgamandolo bene al composto di burro e limone. Ho aggiunto la panna semimontata, mescolando bene e poi ho versato i taglierini, facendoli saltare su fuoco più vivace. Ho salato e pepato.
Ho disposto nelle ciotole individuali, cospargendo con altra buccia di limone appena grattugiata e qualche ciuffo di prezzemolo.

lunedì 11 maggio 2009

La Nonna Minga, i gamberi e le patate blù.



Negli ultimi tempi si rincorrono per i vari forum di cucina conversazioni eccitate su patate dallo strano colore: chi le ha avvistate, chi non riesce a trovarle, chi ne cerca un “pusher”, agli angoli dei mercati di quartiere, chi le ha trovate e sfoggia, invidiato, i risultati dell’utilizzo.
Certo che se lo avessero detto alla Nonna Minga, la mia bisnonna (Minga perché Mingo , cioè Domingo, era suo marito, ed io bambina li accomunavo tutti, marito e moglie, anche per omonimia, Nonno Nanni , Giovanni, doveva per forza aver per moglie Nonna Nanna!) se l’avessero detto alla Nonna Minga, dicevo, che era del ‘75, nel senso di Ottocentosettantacinque!, che esistevano le patate blù, avrebbe fatto la faccia stropicciata, di quando non solo non ti credeva, ma era pure fortemente seccata che tu la prendessi in giro.
E d’unde vegnan? Da u Peru? " avrebbe brontolato ironica, ma anche un po' seccata, immaginando mondi lontani, raggiungibili in mesi e mesi di navigazione a vela.
Eh si, proprio dal Perù, nonnina, arrivano queste patate. Che non hanno strani sapori, ma una buona consistenza ed un colore scuro e violetto, che ben si presta a giochi e composizioni.
Ed è proprio un gioco che voglio proporvi oggi, un finger food piacevole nel gusto, e fatto di contrasti di consistenze e colori.




Gamberi Indigo
Per 20 persone.

Per il purè:
500g di patate viola del Perù
250g latte
50g panna
Burro
aglio
Sale, pepe

Per i gamberi:
20 gamberi freschissimi
30 g. burro
Sale

Per guarnire:
bucce di limoni caramellate
pepe nero delle Hawaii

Lessare le patate con la buccia, spellare ancora calde e passarle subito allo schiacciapatate. Rimetterle sul fuoco aggiungendo latte e panna caldi (per la preparazione di questi della foto, avevo fatto scaldare nel latte uno spicchio d’aglio, che poi ho tolto), mescolare bene. Salare e pepare. Unire il burro dopo aver levato dal fuoco, montando bene.
Mettere in una tasca da pasticceria con bocchetta spizzata e riempire piccolissime ciotole o cucchiaini da finger food.

Pulire i gamberi, togliendo la testa e il carapace (serviranno per fare un fondo, o altra preparazione), lasciando solo il ciuffetto finale della coda.
Farli saltare nel burro spumeggiante per 3 minuti. Con l’aiuto di una pinza, metterli ritti sul mucchietto di purè viola.
Guarnire con bucce di limone caramellate e sale nero delle Hawaii

Per le bucce di limone:
Tagliare a julienne la buccia di un limone biologico, solo la parte gialla.
Mettere sul fuoco tre pentolini di acqua, il terzo con due cucchiaiate di zucchero su 200 di acqua.
Mettere le zeste di limone nell’acqua bollente del primo pentolino, far riprendere il bollore. Scolare e ripetere il procedimento per il secondo e terzo pentolino. Lasciarle bollire 3 minuti nello sciroppo. Poi scolare e far raffreddare ed asciugare su carta assorbente.


domenica 10 maggio 2009

Tanti vasetti e due rose




Mi sono svegliata presto, oggi. La casa era silenziosa. La cagna ha alzato il muso, stupita e sonnacchiosa. Mi sono preparata il caffè, mentre la luce della primavera entrava a fiotti dalla portafinestra. Buona festa della mamma, mi sono detta, chiudendo piano le porte delle stanze delle mie figlie addormentate.
E mi sono preparata una torta soffice, facilissima.




Torta ai 7 vasetti e fragole

3 uova
1 vasetto di yogurt bio
2 vasetti zucchero
3 vasetti di farina
1 vasetto di olio e.v.o.
1 ciotola di fragole
Zucchero a velo
½ bustina di ievito
La buccia di un limone grattugiata
Burro e farina per la teglia.

Ho messo nella ciotola lo zucchero e la buccia di limone e ho aggiunto le uova una alla volta, montando benissimo.
Poi ho versato lo yogurt e l’olio, sempre montando. Per ultima la farina, mescolata al lievito. Senza smontare l’impasto, ho aggiunto le fragole a pezzetti.
Ho versato in una teglia, imburrata e infarinata, e ho cotto ca.50min. in forno già caldo, a 180°.
Per la decorazione due rose del mio giardino, passate in un po’ di bianco d’uovo montato leggermente e poi nello zucchero semolato.



P.S. Qualcuno si stupirà che io abbia usato olio e.v.o. per un dolce, ma non utilizzo mai olio di semi. L'olio e.v.o. ligure è delicato e i dolci restano soffici, senza "retrogusti" pesanti.

giovedì 7 maggio 2009

Biancomangiare con salsa di Nespole e caramello alle mandorle.



Questa ricetta è nata un po' per caso.
Era tutto il giorno che avevo voglia di qualcosa di iindefinito, di dolce, ma non troppo. E siccome che non ho un maggiordomo che si chiami Ambrogio, e siccome che ho ancora il ricordo di profumi di Sicilia ( e rieccoci!)mi è venuto in mente il biancomangiare.
E sempre per rimanere in tema di Sicilia, mi sono sopraggiunte (sic!) reminiscenze verghiane, colori di Aci Trezza...e casa del Nespolo= nespole l'equazione è bella e fatta.
Ecco che quindi la ricetta è nata un po' così, per prove e tentativi, mescolando il ricordo di vasetti alla vaniglia ( che impazzano per la blogsfera) e ricette tradizionali di biancomangiare.

Biancomangiare con salsa di Nespole e caramello alle mandorle.


100 g mandorle

80g zucchero

250 ml latte

250 panna

30g.amido di mais

1 stecca di vaniglia

Per la salsetta:

10 nespole

Zucchero, 2 cucchiai

Buccia di limone

1 anice stellato


Ho frullato nel mixer le mandorle con due cucchiai di zucchero.

Poi ho scaldato latte, panna, il resto dello zucchero e una stecca di vaniglia, che poi ho tolta. Ho versato il tutto sulle mandorle frullate e l’ho lasciato lì per un po’ ( Sono uscita, ho accompagnato la creatura a studiare dalla sua amica, ho fatto una commissione. Saranno passate almeno due ore).

Tornata a casa ho filtrato il tutto, ho rimesso sul fuoco, ho fatto appena riprendere il bollore. Ho mescolato poi con l’amido di mais ( qualche cucchiaio di liquido nell’amido di mais, mescolare bene, poi aggiungere al tutto), ho fatto riprendere il bollore, ma pianissimo. Dopo due minuti ho spento, ho messo nei bicchieri, ho fatto raffreddare e poi messo in frigo.

Poi ho sbucciato una decina di nespole, l’ho tagliate a coltello,le ho messe in un pentolino con lo zucchero, la buccia di limone e un pezzetto di anice stellato. Ho fatto cuocere poco, forse 10 minuti, mescolando. La consistenza non è quella di una marmellata, la frutta è rimasta ancora consistente, non spappolata. Ho tolto buccia di limone e anice e ne ho messo una cuchiaiata su ogni bicchiere.

Tant'è però, non mi andava proprio di buttar via la polvere di mandorle che era rimasta nel colino, così ho improvvisato una specie di caramello, con qualche cucchiaiata di zucchero, poca acqua in una padellina. Quando ha cominciato a prendere colore ho sparso un po' di polvere di mandorle. Ho tolto dal fuoco e versato su un foglio di carta forno.

mercoledì 6 maggio 2009

Incanto

Stamattina sono andata a trovare la mia mamma, che come sempre, al primo raggio di sole, decide che l’inverno è finito, chiude la casa in città e fugge… qui.



Nella serena quiete di una primavera dolcissima



Tra l’incanto di rose e peonie






E un po’ di questa bellezza l’ho portata con me.

martedì 5 maggio 2009

Fagottini di sarde a beccafico take away





Questa ricetta, assolutamente banale nella sua semplicità, mi è venuta in mente, di ritorno dalla Sicilia, per conservare profumi e sapori di quella terra e perchè non si riesce quasi mai a trovare il pesce in un piatto da picnic, o comunque da "portar via", a meno che non sia stravolto in qualche terrina, declinato in una delle tante quiche o che sia l’eterno tonno sott’olio.
Così invece mi pare che il sapore, la consistenza e la fragranza delle sarde vengano mantenuti.
Mi paiono discreti anche come finger food.




Fagottini di Sarde a beccafico take away.

400g sarde fresche
40g uva passa
40 g pinoli
½ cucchiaino di zucchero
Un ciuffo di finocchietto selvatico (o menta fresca)
1 cucchiaio d’olio e.v.o.
Succo e buccia di 1 arancia
½ bustina di zafferano
Sale, pepe.
Per la pasta:
400 g farina
2 cucchiai d’olio evo
acqua tiepida q.b.
Sale
E poi
1uovo per spennellare
Semi di sesamo o papavero (se piacciono)
Fior di sale(se lo avete, all’arancia)

Mettere l’uvetta ad ammorbidire nel succo d’arancia
Impastare la farina con l’olio, il sale e acqua quanto basta a formare un impasto liscio ed elastico. Far riposare 15 min. sotto una pentola rovesciata, calda e asciutta. Questo aumenterà l’elasticità dell’impasto.
Pulire e diliscare le sarde, facendo attenzione che i due filetti non si dividano. Stenderle sul tagliere.
In una padella antiaderente tostare con attenzione il pangrattato.
Versarlo in una capace terrina.
Unire i pinoli, l’uvetta strizzata (conservatene il succo) , il finocchietto (o menta) tritato, lo zucchero, l’olio evo, la buccia d’arancia.
Sciogliere lo zafferano nel succo d’arancia, mescolare bene e aggiungere al ripieno.
Regolare di sale e di pepe.
Impastare bene il ripieno. Metterne un mucchietto su ogni sarda. Arrotolare il pesce, facendo attenzione che nulla fuoriesca.
Stendere ora la pasta sottile, tagliarla in rettangoli di misura proporzionata alle vostre sarde.
Impacchettare ogni rotolino di pesce, dando forma di bauletti (o a piacere di caramelle), chiudendo bene ai lati affinché il ripieno rimanga ben sigillato.
Spennellare i bauletti così preparati con uovo battuto e, se piace, spolverare con semini di sesamo (o papavero).
Infornare a 180°-200° per ca. 35 min, fino a doratura della pasta.
Appena sfornati, possono essere decorati con poco fior di sale (nella foto ho usato quello aromatizzato all’arancia )

lunedì 4 maggio 2009

Cous cous alla ligure



con introduzione storica e consigli di lettura, abbiate pazienza!

Nell'889 si formò nel Frassineto l’ antico "Golfo Sambracitano", nell'ampia insenatura oggi detta Golfo di S. Tropez", un nucleo di pirati musulmani , detti Saraceni, dal tardo latino Saracinus . I Saraceni costituivano le ultime frange degli invasori Arabi di oltre un secolo prima che costituirono qui, intorno ad un munito castello, un piccolo ma forte dominio da cui organizzarono pesanti scorrerie in Provenza e in Liguria, saccheggiando zone anche molto lontane.
Le leggende raccontano di saccheggi saraceni di Ventimiglia nel X sec.: nelle zone di Sanremo, Civezza e Bussana e passaggi saraceni sono testimoniati nel le valli del Roia, Bevera e Nervia.




E la presenza di arabi saraceni sulle coste liguri è ancor oggi ricordata da toponimi come quello della bellissima Spiaggia dei Saraceni, tra Noli e Varigotti, o dalle tante Torri Saracene, che svettano sulle coste liguri



Ed è ricordata anche da un bellissimo piccolo romanzo di Cesare Melchiori, La notte dei Saraceni, ed. Frilli, che racconta la storia, ambientata nel XVI sec, del giovane Tommaso, fuggito dal Seminario dove studiava, per nostalgia e desiderio di libertà; c’è anche lo spettro dell’Inquisizione e delle sue crudeli torture, delle incursioni saracene, la perenne ingiustizia verso i poveri,l’amore di Tommaso per la bella Marianna dagli occhi verdi, figlia di una “strega”, un processo per stregoneria...


Cosa c’entra tutto questo? C’entra eccome! E’ la forzosa, e giocosa, giustificazione per il piatto che ho cucinato oggi, che unisce la tradizione ligure del coniglio, dei pomodori secchi e delle olive taggiasche con il sapore arabo del cuscus.
Intendiamoci, questa ricetta non è stata recuperata da antichi ricettari polverosi, sottratti alla furia dei barbari e segretamente custoditi da generazioni di fiere e nobili massaie…
E’ solo un’invenzione del momento, per organizzare un pranzo nutriente e saziante per la mia giovane studentessa, che rientra tardissimo da scuola, con un appetito che assomiglia molto alla fame, e che non ha pazienza di attendere che una pasta sia cotta!



Cous cous di coniglio alla ligure

7 etti di lombo di coniglio
1 tazza di pomodori secchi
1 cucchiaiata di capperi
½ tazza di pinoli
½ tazza di olive taggiasche
1 bicchiere di vino bianco
Timo, origano, maggiorana, prezzemolo
1 spicchio aglio
Olio e.v.o.
250g cuscus precotto

Tagliare a pezzi il lombo di coniglio
In un tegame far rosolare in un poco di olio evo lo spicchio d’aglio. Aggiungere lo spezzatino di coniglio e far rosolare bene.
In una piccola padella antiaderente far tostare i pinoli, poi versarli nel tegame del coniglio.
Unire i pomodori secchi tagliati a coltello, le olive, i capperi dissalati.
Bagnare con vino bianco. Far asciugare, poi aggiungere brodo o acqua e portare a cottura
Poco prima di spegnere, unire le erbe aromatiche tritate e mescolare bene.
Preparare il cuscus come da istruzioni sulla scatola e servire accompagnando il coniglio.

N.d.A. La Tajine della foto non serve, tradizionalmente, per portare in tavola il cuscus, ma per cucinare un piatto, la Tajine appunto, che è una specie di stufato di carni e verdure. Consideratela quindi una specie di licenza poetica, grazie!

domenica 3 maggio 2009

Viaggio in Sicilia

Prima parte

Bella, bellissima la Sicilia che ho rivisto dopo due anni … allora eravamo stati sulla costa orientale: Catania, Siracusa, Ragusa, Taormina, una puntata travolgente alla Valle dei Templi di Agrigento, attraversando immensi aranceti in fiore.
Quest’anno costa occidentale: base a Palermo e quotidiane escursioni.






E Palermo ci ha accolti con il suo fascino struggente di città aristocratica e sgretolata, rumorosa, nobile e graffiata.





La Vucciria mi ha disperatamente immalinconita: il mercato dove Guttuso trovava il fulgore e la violenza dei colori e riusciva a trasmettere sulla tela l’intensità dei suoni, delle grida, degli odori intensi, ora si è trasformato, spento, ingrigito in volti sfrontati ed amari. Le grida degli abbanniari risuonano solo al passo del turista curioso, in attesa delle lucette rivelatrici di videocamere in azione.





I banchi affollati di verdure, grondanti pesci , rigurgitanti sulle stradine strette e affollate, dove borse della spesa affardellano corpi sinuosi di donne, sono spariti, lasciando spazio a intrichi di tubi Innocenti, a ricostruzioni lasciate interrotte, a vicoli semivuoti, sfranti nell’ormai palese degrado.





E usciti dal dedalo di viuzze appassite e dimenticate nell’incuria, si viene sorpresi dall’opulenza , dalla magnificenza di un bello antico e sublime, di un sogno di grandezza e potenza che ancora sopravvive.




La Cattedrale, voluta dal vescovo Offamilio (forse Walter of the Mill, o più probabilmente Walter πρωτοφαμιλιάριος, cioè primo della famiglia, il primo ministro del re), nasce, non a caso, sulle spoglie di una grande moschea, ed è una affermazione del potere vescovile su quello del re, Guglielmo II, che aveva appena fatto costruire la “sua” Cattedrale in Monreale.

Poche città come Palermo hanno conservato tante testimonianze della cultura dei conquistatori: Romani, Bizantini, Arabi, Normanni, Svevi, Francesi, Spagnoli….e nonostante la commistione delle culture, la città ha saputo conservare una sua identità, così, passeggiando per le strade della città, si è colpiti dal susseguirsi di testimonianze di civiltà differenti , fuse intimamente in un magico tessuto.





Nella piccola piazza San Francesco si apre un luogo di fascino e grande tradizione gastronomica






Qui si pranza ai tavolini dove si sono accomodati attori, politici, pittori, personalità della cultura internazionale, e si gustano piatti antichi e fragranti di aromi intensi: sfinciuni, panelle, pani c’a meusa, anellini alla siciliana




E poi un caffè da Spinnato




A cena, verso Mondello,





al Bye Bye Blues, forse il ristorante dove si mangia meglio in città:




Il giorno seguente il Mercato di Ballarò ci stordisce di colori, umori, odori intensi e suoni assordanti.



Qui il folklore lascia il posto al quotidiano, fatto di gente che spinge, che affolla, che sceglie e compra davvero. Qui lo spazio non c’è e tutto è affastellato ed esposto, gridato e offerto. I pesci odorano e vengono spruzzati d’acqua di mare, qui l’aglio è offerto con le abbaniate rabbiose, i pezzi di carne vengono aggrediti a un passo dalla tua mano e l’odore di milza che cuoce all’angolo, di bucce gettate nel canale di scolo, del gas della motoretta, con due ragazzetti a bordo, rigorosamente senza casco, che pretende di passare tra te e la signora con le sporte e il bambino in braccio, avvolge ogni fotogramma che ti si stampa nella nostalgia che già senti per questa città contraddittoria.


Lì a due passi, oltre via dell’Università, ti accoglie la bellezza silenziosa ed aristocratica della Martorana, sospesa su una Piazza Bellini che non riesce ad arrendersi al traffico alessandrino, alla fiumana di turisti accaldati e armati di bottigliette di plastica, agli sbracati cocchieri che attendono polli da spennare.



Ridiscendiamo verso i Quattro Canti







Poi, lungo Corso Vittorio Emanuele raggiungiamo Palazzo dei Normanni, che ci inebria con la bellezza eterna della sua Cappella, con la magnificenza preziosa e ineguagliabile dei suoi decori.




E domani il nostro viaggio continua.