venerdì 26 febbraio 2010

Nuvole di Liguria. "Frisceu de gianchetti", ovvero frittelle di bianchetti



Nuvolette sulla lavagna nera.
Soffici, morbide e leggere come bolle di sapone.
Nuvolette al profumo di primavera, ripiene di pesciolini minuscoli, di cipollina dolce, di foglioline fresche, rubate dal vaso del terrazzo, nel sole timido di questo faticoso febbraio.

Non friggo quasi mai, per poca abitudine, per attenzione alla salute, per pigrizia, anche.
Ma oggi, sul banco del mercato, i "gianchetti" brillavano, piccolissimi, lucidi, trasparenti! E la voglia di un "frisceu", caldo e profumato, era irresistibile...



Questa poi è la settimana della scoperta di nuove farin: quella di oggi non particolarmente rara e pregiata, ma utile davvero.
Si chiama Biancaflor, chissà quante di voi la conoscevano già! E' un'autolievitante, e di solito ne diffido, ma i risultati sono davvero strepitosi.
Due minuti e avrete frittelline soffici, perfette, per nulla spugnose, ma lievi e morbidissime! Prendete quella apposita per salati.
Altra parentesi, doverosa! L'ho già detto? Io di solito friggo nell'olio evo. Tiene bene il punto di fumo, non è tossico. L'olio della Riviera Ligure è un olio delicato, che non aggredisce i sapori del cibo. Premesso questo, friggete come siete abituate! Se usate un olio di semi, però, accertatevi che sia di un solo seme, e non misto, e preferite arachide, girasole o mais...


Frisceu de gianchetti, ovvero frittelline di bianchetti.





farina Biancaflor per salati, g.100
bianchetti, 3 cucchiaiate
uovo, 1
1/2 cipollotto
prezzemolo, un ciuffetto
acqua minerale gasata, ca. 1 bicchiere scarso
sale, pepe se piace
olio per friggere



In una ciotola, sgusciate l'uovo, unite il prezzemolo tritato, un poco di cipollotto tagliato fine, condite con sale e pepe, aggiungete la farina e mescolate bene, stemperate con l'acqua minerale e aggiungete i bianchetti.
Friggete in olio caldo(possibilmente in un pentolino stretto e alto), versando l'impasto a cucchiaiate, poche per volta e rigirando appena la frittella nell'olio. Scolate appena imbiondiscono.
Salate e servite subito, magari in un cartoccio di carta paglia.

P.S.
Le dosi qui sopra sono davvero a occhio, dovete "sentire" la consistenza del vostro impasto.
Preparate la pastella proprio all'ultimo minuto, deve essere fritta subito.

giovedì 25 febbraio 2010

Gnocchetti di farina di Roveja con carciofi e bottarga al profumo d'arancia.



Non avevo neppure idea che esistesse, questa farina antica e saporita.
L’ho trovata, per caso, alla coop, l’altro giorno. Presidio slow food, perbacco!! Non potevo lasciarla lì, abbandonatissima in un cesto, un po’ appartata, quasi in esilio..
Sono andata a cercare nel web qualche di notizie sulla roveja che altro non è che..il pisello odoroso, il pisellino selvatico, che fa fiori così belli e profumati! (Erano la mia passione, da piccola, tanto che la mia mamma me ne aveva ornato la casa per la festa della mia prima comunione!)



foto slow-food

La roveja è un piccolo legume simile al pisello, dal seme colorato che va dal verde scuro al marrone, grigio. Nei secoli passati era coltivato su tutta la dorsale appenninica umbro-marchigiana, in particolare sui Monti Sibillini, dove i campi si trovavano anche a quote elevate: la roveja è resistente anche alle basse temperature, si coltiva in primavera-estate e non ha bisogno di molta acqua. Cresce anche in forma spontanea, lungo le scarpate e nei prati, ma nei secoli passati era protagonista dell'alimentazione dei pastori e contadini dei Sibillini con altri legumi poveri quali lenticchie, cicerchie, fave. Proprio perché cresce da sempre anche selvatico alcuni ricercatori sostengono che si tratti di un progenitore del pisello comune. Secondo altri invece è una vera e propria specie (Pisum arvense) differente da quella del pisello (Pisum sativum), in ogni caso la classificazione botanica è ancora indefinita. Esiste invece un totale accordo sulla sua valenza nutritiva: è molto proteica, in particolare se consumata secca, ha un altro contenuto di carboidrati, fosforo, potassio e pochissimi grassi. Oggi è stata pressochè abbandonata ovunque e resistono solo pochi agricoltori nella val Nerina, in particolare a Cascia dove, in una località chiamata Preci, c'è una fonte detta dei rovegliari.
In questa vallata la roveja si semina a marzo a un'altitudine che va dai 600 ai 1200 metri e si raccoglie, falciandola a mano, tra la fine di luglio e l'inizio di agosto. La battitura è simile a quella della lenticchia: quando la metà delle foglie è ingiallita e i semi sono diventati cerosi, si sfalciano gli steli e si lasciano sul prato ad essiccare.
Quando l'essicamento è completato si portano sull'aia e si trebbiano. Si deve poi liberare la granella dalle impurità con una ventilazione che avviene con setacci.
La roveja, detta anche roveglia, rubiglio, pisello dei campi, corbello, si può mangiare fresca oppure essiccata, in questo caso diventa un ottimo ingrediente per minestre, zuppe. Macinata a pietra, si trasforma in una farina dal lieve retrogusto amarognolo che serve per fare la farecchiata o pesata: una polenta tradizionalmente condita con un battuto di acciughe, aglio e olio extravergine di oliva, buona anche il giorno successivo, affettata e abbrustolita in padella.


Oggi ho preparato degli gnocchi,(ma sto pensando di farne presto tagliatelle...)e ho pensato di condirli con i carciofi, che bene si sposano al gusto un po' amarognolo della farina, e di irrobustire il sapore con un po’ di bottarga! L'arancia, presente nel fondo di carciofi e poi grattugiata sul piatto, rilascia un buon profumo delicato ed agrumato!
A noi sono piaciuti moltissimo, provate, e fatemi sapere!!

Gnocchi di farina di Roveja con carciofi e bottarga al profumo d'arancia.



Per gli gnocchi:

patate vecchie, ca. 700g
farina di roveja, ca 200g

per il condimento:

carciofi di Albenga, 4
prezzemolo, un ciuffetto
succo di mezza arancia
buccia d'arancia grattugiata q.b.
bottarga grattugiata, q.b.
aglio, 2 spicchi
peperoncino, se piace
olio evo

Lessare le patate, sbucciarle e passarle allo schiacciapatate. Impastarle ancora calde con la farina di roveja . Se preferite usate metà farina di roveja e metà farina 0: io ho usato tutta farina di roveja e sono venuti ottimi!
Preparate gli gnocchi come al solito.

In una larga padella fate imbiondire due spicchi d'aglio e, se vi piace, aggiungete un piccolo peperoncino rosso.
Unite i carciofi, puliti e tagliati a lamelle non troppo sottili. Fate saltare per due minuti, poi unite il prezzemolo tritato e il succo di mezza arancia. Lasciate cuocere pochi minuti, 6 o 7 direi. Intanto lessate gli gnocchi. Scolateli con una schiumarola, trasferiteli delicatamente in padella e mescolate.
Impiattate, poi grattugiate una buona quantità di bottarga e spolverate con la buccia d'arancia.

mercoledì 24 febbraio 2010

Un week end a Catania.




Chiariamo subito! Se volete un post sulle bellezze artistiche, architettoniche, naturalistiche di Catania (e ce ne sono moltissime: meritano un lungo tranquillo soggiorno, che io ho già avuto modo di compiere l'anno scorso ) non andate oltre!
Il mio lungo week-end catanese è stato all'insegna della cucina e del cibo! Dapprima nella preparazione della festa di compleanno dell'Anonima Etnea, di cui vi ho già detto, poi in piccoli assaggi e curiose incursioni in pasticcerie, bar, negozietti, putìe, chioschi. Una meraviglia!

La giornata inizia nel cuore della città barocca, a pochi metri da piazza del Duomo, dove la bellissima piazza San Placido accoglie un negozio affascinante e indimenticabile: I Dolci di Nonna Vincenza.

Entriamo dalla raffinata porta a vetri




e ci troviamo a respirare un'aria di casa, di interno borghese di fine Ottocento:


con i rosoli preziosi:



nel laboratorio



e un'aria profumata di vaniglia e di cannella.












Usciamo, a malincuore, ma dopo aver fatto abbondante scorta di delizie.

Lì accanto, affacciata su Piazza San Placido,



un’ antica cereria, che produce artigianalmente candele, torce a vento e i ceri pesantissimi per la Festa di S.Agata, che possono arrivare a superare i 100 kg e devono essere trasportati rigorosamente a braccia! Accesi, ovviamente!



Scendiamo verso l'antica piazza Alcalà, oggi piazza Borsellino, costeggiando lo splendido imponente Palazzo Biscari (forse l'avete visto anche voi...è stato recente location del film I Vicerè).





Pochi passi ci separano dalla Pescheria, l’antico mercato del pesce di Catania, sorto accanto agli Archi della Marina.



Qui si viene letteralmente avvolti dallo “sciauro”, dalle voci, dai colori, dal fascino antico e netto di un quadro neorealista.














Nelle viuzze accanto si snodano i banchi di verdura, di carni e di formaggi, di spezie e frutta secca,


















e stazionano venditori improvvisati di frutti di mare crudi!







La sera si cena nella bellissima Piazza Federico di Svevia,in una putìa, la tipica trattoria catanese:



carni alla griglia, preferibilmente di cavallo od agnello, precedute da antipasti tipici: olive cunzate, verdure grigliate, cipollotti avvolti dalla pancetta, arancini, ecc.



L’atmosfera è gaia, brusca e vitale. Si mangia su tovaglie di carta, il profumo dei cibi è avvolgente ed intenso, le voci dei clienti chiassose: accanto a noi cena la gloriosa squadra di rugby della città, una gioia per la fotografa, grandissima tifosa di questo sport!



E dopo cena, una passeggiata lenta ci porta ai chioschi di Piazza Umberto.



"Chi fai stasira?"..."Chi sacciu..intantu minni vaiu o' ciosco, a piazza Umberto...!!"

I giovani catanesi sono affezionati ai chioschi: i più famosi sono quelli di Piazza Umberto (piazza Vittorio Emanuele III, lì ce ne sono due: Giammona e Vezzosi
La storia dei chioschi a Catania si perde nel tempo… e trova sicuramente origine nei venditori ambulanti di "acqua e e zammù", cioè acqua e anice, che tenevano in fresco l'acqua in posti "ombrosi" strategici delle città.
Luoghi storici, hanno forma esagonale con un tettuccio in legno: su ognuno dei lati si apre una finestrella con tanto di appoggio da cui è possibile ordinare, bere e ripararsi dal sole poiché ognuna di queste aperture è anche dotata di una piccola tettoia.



La bibita tradizionale è sicuramente seltz, limone e sale… che consiste in una spremuta di limoni in acqua gassata, con aggiunta di seltz ,ed una cucchiaiata abbondante di sale…non arricciate il naso …è una delizia! Dissetante e gradevolissimo! La passione estiva di mia figlia maggiore, quando aveva due o tre anni, era “Acqua e momone coi bibidi! “(acqua e limone con i brividi n.d.t. cioè acqua, limone e sale, appunto! E non era mai stata in Sicilia!)
Un'altra bibita molto in voga è limone , mandarino e selz, che coniuga splendidamente l'aspro del limone ed il sapore dolce del mandarino.


E poi ancora il tamarindo con limone, profumato e digestivo.
Tra i vari sciroppi quello al mandarino verde è l’ultima novità.




A notte fonda, ttraversiamo il dedalo di viuzze della città vecchia, tornando verso casa, e siamo certe di essere sulla strada giusta.